Il ragazzo era assorto nei suoi pensieri. Accovacciato in riva al mare, lanciava, ad intervalli regolari, piccoli ciottoli levigati dalle onde.
Il vecchio marinaio lo osservava in silenzio mentre riparava la sua rete. Il richiamo dei gabbiani, di tanto in tanto, interrompeva i loro pensieri e il discreto sciacquio della risacca.
“Qualche problema, giovanotto?”
Il ragazzo osservò a lungo quel viso lavorato dal sole e dalla salsedine che gli sorrideva tranquillo. Lanciò con forza, a pelo d’acqua, una pietra tonda e piatta, che rimbalzò prima con salti lunghi e regolari, poi sempre più brevi e veloci, prima di affondare. Il vecchio applaudì con un sorriso complice, poi scelse con cura una pietra ben levigata che diresse con un lancio esperto, senza sforzo apparente. La pietra ballò a lungo a pelo d’acqua, prima di scomparire.
“Sei mai stato in teatro?” domandò il ragazzo con la fiducia che si riserva a chi si conosce da tempo e si stima custode di grandi segreti. Non era una semplice curiosità quella che il vecchio marinaio intuì negli occhi grandi e profondi di quel ragazzino che gli si era accovacciato accanto, rivelando qualche rattoppo, nei pantaloni corti, due misure più grandi, che teneva su con una corda annodata. Certo sarebbe stato più bravo a raccontare di straordinarie avventure marinare, di come era uscito indenne da quella burrasca con onde alte trenta metri o di quando aveva catturato con le sue mani un “mostro” marino, puntualmente finito in padella con la cipolla. Bisognava però parlare di teatro. Le attese di quel ragazzino non andavano deluse. E di teatro parlò, il vecchio marinaio, senza rendersi conto che lo stava “facendo” il teatro, con maestria da grande attore.
“Il teatro… ehe!..non hai idea, figlio mio…non hai idea! Un posto bellissimo e molto, molto grande…la gente, con l’abito della domenica, entra… da casa si porta la sedia e qualche cosa da mangiare…ad un certo punto suonano le trombe e si apre una tenda di velluto rosso, alta più di cento metri…una banda di due o trecento musicisti comincia a suonare… ci sono dei cantanti che cantano romanze d’amore e di guerra e poi raccontano delle storie bellissime che fanno piangere… e le raccontano così bene che la gente piange… e poi raccontano delle storie divertenti e la gente ride e si diverte…e alla fine tutti applaudono e lasciano qualche soldo per gli artisti. Qualche volta sono più contenti degli applausi che dei soldi! Una volta…sì… insomma ti voglio svelare un segreto…io so suonare la chitarra, il mandolino e “la rigonetta” e so anche cantare… quando ero giovane lo facevo spesso, per gli amici, la sera. Loro si divertivano e applaudivano e mi offrivano da bere e io ero felice… mi sentivo un artista”.
La chitarra era completamente sepolta da una montagna di reti da pesca. Il vecchio la liberò e, dopo una veloce accordatura, fece squillare un Re maggiore e intonò un allegro ritornello, impreziosito da suoni di percussioni e strumentini che prendevano vita dalla sua bocca e che inchiodarono a bocca aperta il divertito ragazzino.
“Para zipum zipum zipera para zipum zipum zipà
la saliera è quella cosa, che ha la forma dell’occhiale,
da una parte si mette il pepe e dall’altra si mette il sale
para zipum zipum zipera para zipum zipum zipà…
Se vuoi t’insegno… e se prometti di venire da me tutti i giorni, questa chitarra è tua”.
Il sorriso del ragazzino fu più di una promessa.
“Posso chiamarti nonno?”
Il sorriso del vecchio marinaio fu più di un consenso.
“Io ti chiamerò Piripicchio”.
Furono ore e giorni di felicità. Fu con un gruppo di vecchi marinai che Piripicchio sperimentò le prime gioie di regalare sorrisi. Fu per caso che un giorno, ancora giovanissimo, si ritrovò a cantare una canzone ad uno sgabello vuoto e ad una montagnetta di reti di pescatore. Lentamente, trascinando con discrezione sedie e sgabelli, si radunarono tantissimi spettatori, una gran folla da averne paura. Una lacrima rigava il suo volto quando gli parve che il vecchio marinaio gli aprisse la grande tenda di velluto rosso, prima di volare via con i gabbiani.
La gente applaudiva lasciando qualche soldo per quegli attimi di spensieratezza e si avviava poi lentamente alla ricerca della felicità, ignara di averne vissuto attimi intensi.
Forse le maschere sono nate così, come le favole.
Un sogno di fanciullo si materializza e distribuisce frammenti di felicità che tracciano nel cuore un piccolo indelebile solco di cui ci si accorge all’età della saggezza. Il racconto che se ne fa, si ammanta di nostalgica, partecipata meraviglia, ingigantita dall’entusiasmo della testimonianza diretta, prima, e dalle favolose invenzioni dei narratori, poi.
Un omaggio all’antesignano degli artisti di strada
Vito Signorile